La Politica di Coesione: a che punto siamo


La Politica di Coesione: a che punto siamo

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La politica di coesione europea entra in una fase di revisione strategica. Tra flessibilità, nuove priorità e confronto tra Stati membri, il dibattito si concentra sul post 2027. Il negoziato sul prossimo Quadro finanziario pluriennale sarà decisivo per definire equilibri e governance.

A seguito dell’incontro del 9 dicembre a Bruxelles, presso il Coordinamento delle Regioni e delle Province Autonome Italiane, con Silvia Valli, attaché della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, si è aperto un confronto sullo stato e sulle prospettive della politica di coesione.

Nel 2025 la Commissione europea ha avviato una mid-term review della politica di coesione con l’obiettivo di adeguare gli investimenti alle nuove sfide strategiche dell’Unione: transizione energetica e digitale, resilienza, competitività industriale, sicurezza e difesa, alloggi accessibili e gestione delle risorse idriche. Le proposte in discussione prevedono una maggiore flessibilità tra i fondi, procedure semplificate, incentivi alla riallocazione delle risorse verso priorità emergenti e un incremento del prefinanziamento, che in alcune regioni potrebbe arrivare fino al 100% dei costi dei progetti strategici.

L’impostazione della Commissione mira a mantenere la politica di coesione al centro della strategia europea, rendendola però più agile e capace di rispondere anche a sfide comuni all’intera Unione. Il confronto tra gli Stati membri evidenzia tuttavia posizioni differenziate. Paesi come Italia – che ha espresso una riserva –, Spagna, Grecia e diversi Stati dell’Europa orientale sostengono una visione di coesione “classica”, fondata sul ruolo centrale delle regioni, su un budget solido e su criteri di riparto basati sul PIL regionale. Francia e Belgio propongono invece una coesione modernizzata ma robusta, maggiormente orientata alla transizione digitale e verde, con un’attenzione più marcata all’efficienza e alla misurabilità dei risultati.

Di segno diverso la posizione dei paesi contributori netti, come Germania e Paesi Bassi, che chiedono criteri più rigorosi, una maggiore enfasi su performance e risultati, una possibile riduzione del budget complessivo e un più stretto collegamento con le riforme strutturali nazionali.

Le principali linee di frattura riguardano il rapporto tra solidarietà territoriale e orientamento strategico-competitivo, l’utilizzo del PIL regionale rispetto a indicatori multidimensionali, il ruolo delle regioni rispetto a un maggiore controllo statale o comunitario e l’equilibrio tra un budget consistente e la prudenza fiscale dei contributori netti.

Il processo di modernizzazione della politica di coesione presenta opportunità e rischi. Da un lato, potrebbe rafforzarne la capacità di risposta alle emergenze e alle priorità europee, allineandola alle transizioni verde e digitale e alla resilienza energetica. Dall’altro, emerge il rischio di una progressiva subordinazione a logiche strategiche, con una riduzione dell’attenzione alle disparità territoriali e del ruolo delle regioni, alimentando tensioni tra paesi beneficiari e contributori netti.

In questa fase cruciale, il compromesso più probabile per il periodo post-2027 sembra orientarsi verso una politica di coesione ancora territoriale ma più strategica, caratterizzata da maggiore flessibilità, criteri di allocazione aggiornati, governance multilivello preservata e un più forte allineamento con le priorità dell’Unione europea. L’esito finale dipenderà dal negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034, nel quale le divergenze tra Stati membri risultano già chiaramente delineate. La politica di coesione resta il principale strumento dell’UE per ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali e promuovere uno sviluppo armonico: un patrimonio che non può essere disperso.